Il Cantastorie

ilcantastorie  Il Baal Shem Tov, il Signore del Nome Buono, era sul letto di morte. I suoi discepoli si     riunirono intorno a lui e a ciascuno di loro il maestro rivelò la particolare chiamata nel mondo: a uno il commercio, a un altro la guarigione, a un altro il servizio religioso.

Al suo discepolo Gabriele il maestro disse: <Tu sarai il mio cantastorie. Il tuo compito sarà quello di viaggiare per monti e per mari, di città in città, di villaggio in villaggio, a tramandare i racconti e le meraviglie che hai visto in mia compagnia>. Gabriele sperava che il Baal Shem si stesse rivolgendo a qualcun altro, perché l’ultima cosa che avrebbe mai voluto era diventare un cantastorie itinerante. Un predicatore con tanto di congrega e un pulpito fisso, questo sì, ma una vita errabonda non faceva per lui. Ma cosa poteva fare? Era stato chiamato. Chiese al Baal Shem: <Sarà questo il io ruolo per il resto della vita? Come saprò se e quando il mio incarico sarà compiuto?>. <Lo saprai> gli disse il Baal Shem, <Lo saprai>.

Dopo la morte del maestro, Gabriele incominciò diligentemente a vagabondare per città e campagne, raccontando le storie e le meraviglie del maestro. Passarono alcuni anni e Gabriele non vedeva l’ora di tornare a casa. Un giorno venne a sapere che a Siena, in Italia, c’era un uomo ricco che pagava cinquanta ducati per ogni storia del Baal Shem che gli avessero raccontato. Cinquanta ducati erano una bella sommetta e Gabriele aveva moltissime storie da raccontare. Dopotutto egli era il cantastorie del Baal Shem. <Era questa> disse tra sé e sé, <probabilmente l’intenzione del Baal Shem. D’incanto diventerò ricco e potrò dedicare il resto della mia vita alla mia famiglia e agli studi>.

Gabriele si recò a Siena. Presto si sparse la voce che il cantastorie del Baal Shem era giunto in città e la sera del giorno dopo, un venerdì, l’intera città si riunì nella casa del ricco mecenate pregustandosi una scorpacciata di racconti. Gabriele si alzò per parlare. Aprì la bocca. Silenzio. Non uscì una sola parola. Il suo volto si sbiancò. Si concentrò. Ancora silenzio. Tre o quattro lunghi minuti trascorsero lentamente. Alla fine Gabriele farfugliò: <Sono così dispiaciuto, ma non riesco a ricordare nemmeno una storia, nemmeno una>. Il mecenate fu cortese: <Siete sicuramente stanco per il viaggio> disse, <Riposatevi, domani sarete più fresco e ci racconterete le vostre storie>. L’indomani la gente si riunì per il pranzo. Di nuovo Gabriele aprì bocca e si bloccò, incapace di ricordare una sola storia. Si ripetè la stessa cosa a cena, stesso silenzio di prima. Il sole tramontò sul suo silenzio e il mecenate, con un’aria insolitamente triste, diede a Gabriele qualche ducato e lo mandò per la sua strada.

Gabriele era distrutto e piangendo amaramente si domandò: <A che cosa serve un cantastorie che si è dimenticato le storie?>. Ma appena ebbe raggiunto i sobborghi della città notò una casa con le imposte serrate. Quella vista fece scattare in lui un lampo di memoria, riportando a galla una storia che aveva dimenticato, una storia che non aveva mai raccontato. L’unica che riuscisse a ricordare. Fece un rapido dietro-front, corse verso la casa del mecenate, si fiondò attraverso la porta, oltrepassando di corsa i servitori per entrare nello studio del padrone. Lo trovò accasciato sul tavolo, angustiato e singhiozzante. Ma Gabriele non aveva tempo per domande o spiegazioni, doveva raccontare la storia. <Presto> disse, <mi ricordo una storia, una storia che non ho mai raccontato. Fatemela raccontare prima che svanisca come le altre>. Il mecenate fece per aprire bocca, ma Gabriele si era già lanciato nel racconto. <Era un mercoledì mattina quando il Baal Shem mi chiamò. Mi disse: “Attacca i cavalli al carro. Voglio che sia tu e solo tu ad accompagnarmi”. Così percorremmo distanza che sembravano enormi in pochissimo tempo. Arrivammo al quartiere ebraico di una città che non conoscevo. Tutte le case avevano le porte e le finestre serrate. In mezzo alle case c’era una piazza e nella piazza si stava radunando gente per ascoltare la predica di un prete da un alto pulpito. Il Baal Shem mi chiese di bussare alla porta di una delle case prospicienti alla piazza.

Bussammo e una voce dall’interno disse: “Andatevene. Non sapete? Il prete sta radunando le persone per compiere un massacro. Ogni ebreo trovato fuori verrà fato a pezzi”. “Non avete nulla da temere da me” rispose il mio maestro, “Riaprite la porta”. La sua era una voce a cui non si poteva disobbedire. La porta si aprì e il Baal Shem si rivolse a me dicendo: “Attraversa la piazza e dì al prete che io, Israel ben Eliezer, desidero conferire con lui”. “Sei sicuro?” gli chiesi timidamente, “MI uccideranno ancor prima che faccia due passi”. “Ora vai” disse il Baal Shem. Attraversai la piazza e la folla si apriva davanti a me come il Mar Rosso, e dissi al prete: “BAal Shem desidera parlarvi”. Potete immaginare la mia sorpresa quando la sua faccia impallidì e cominciò a tremare. Non voleva rispondere al mio appello, era evidente, ma in un modo o nell’altro, non so perché , mi seguì. Rimase dentro per tredici ore. Dopodiché il prete uscì, con il volto cosparso di lacrime e da quel momento non si seppe più nulla di lui. Questo è tutto quello che mi ricordo>. Gabriele stette come una tasca vuota con la sua storia raccontata.

Il mecenate era ammutolito. Si alzò, prese Gabriele per le spalle e, con il volto vicinissimo al suo, lo scosse: <Non mi riconoscete?> chiese, <Riconoscetemi!>. A poco a poco il volto di Gabriele si illuminò. <Ma sì, sì .. il prete! Come è possibile? Siete il prete!>. < Sono il prete. Sono il prete>. Rispose l’uomo come se per la prima volta si riconciliasse con quell’evento. Lasciò andare Gabriele, non appena parlò i tratti del suo volto cominciarono a rilassarsi. <Permettetemi di raccontarvi la mia storia. Fui cresciuto in casa di ebrei, un bimbo precoce con grandi aspirazioni. Ma, ben sapete, non c’è molto che un ebreo possa fare per diventare qualcuno. Pensai, perché non entrare nella più grande impresa del mondo, la Chiesa? E così feci. E qual era il modo migliore per entrarvi se non quello di diventare prete? Mi convertii e mi lanciai nella mia missione di prete. Con il passare degli anni diventai così bravo, arrivai così in alto, che fui preso in considerazione dal vescovado. Però all’interno della Chiesa restava ancora qualche vago sospetto che io non avessi abbandonato del tutto la mia precedente vita di ebreo. E, caro cantastorie, desideravo a tal punto il vescovado da decidere di fomentare rivolte gli ebrei della città per provare la mia fedeltà alla Chiesa. E proprio mentre il mio discorso incendiario, che avrebbe i villici alla rivolta arrivaste voi dicendomi che il BAal Shem voleva vedermi. Mai sentito parlare di lui, ma c’era qualcosa … e non potei ignorare. Mi sentii attratto. Dovevo seguirvi. Il Baal Shem mi parlò per tredici ore. Mi parlò della mia anima, del mio passato, della mia chiamata e ricordai la mia grande aspirazione. “Ritorna” disse, “Ritorna in te stesso”. Così feci. Mi impegnai a tornare alle mie radici e a fare ammenda per le enormi sofferenze che avevo causato. Prima di lasciare la casa però chiesi “Come farò a sapere che il mio è stato accettato lassù, che sono stato perdonato?”. Rispose: “Saprai di essere stato accolto quando qualcuno racconterà la tua storia e sia tu che il cantastorie realizzerete la strie che vi appartiene”>.

Categorie: appunti di viaggio

1 commento »

Lascia un commento